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Leonello Zaquini.
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Riproduciamo qui il testo introduttivo del lavoro per la redazione dei “Libretti delle votazioni”. Ce n’e’ uno nuovo da redigere sui 5 temi del referendum Cittadinanza-Lavoro.
= = =Cari attivisti per la democrazia, gentili parlamentari, persone interessate,
Come sapete nei prossimi mesi i cittadini italiani saranno chiamati
a votare su cinque temi referendari:
– Abolizione uno sul tema della cittadinanza e 4 su temi concernenti il lavoro.Vi chiediamo di fare in modo che venga redatto e distribuito:
L’ «OPUSCOLO INFORMATIVO» DELLE VOTAZIONI POPOLARI.
E’ lo strumento di informazione con la descrizione del tema in votazione e gli argomenti per il SI e per il NO.
E’ scritto in modo sintetico, oggettivo, imparziale e rispettoso delle diverse opinioni.
Esiste nei paesi dove esistono votazioni popolari. Viene fatto avere agli elettori con diverse settimane di anticipo
rispetto alla data delle votazioni. E’ molto diffuso ed è chiamato anche: «Libretto delle votazioni».Purtroppo ancora non esiste in Italia.
COME VIENE REDATTO.
In genere nei diversi paesi l’ “Opuscolo informativo” viene redatto da una apposita commissione, in cooperazione con i comitati per il “Si” e per il “No”.
Per prima cosa invitiamo quindi i Parlamentari a fare in modo che questo importane strumento di informazione esista,
come esiste in tutti i paesi dove, come in Italia, esistono strumenti di democrazia diretta moderna ( Svizzera,
California, … Taiwan … ).Preghiamo i parlamentari di agire in modo che questa prassi si instauri anche in Italia.
Qualora il Parlamento non soddisfacesse questa esigenza, invitiamo i cittadini a fare come avevamo fatto nel 2020 e nel 2022:
gruppi di cittadini di opinioni diverse avevano collaborato nella redazione del “Libretto”.In quelle occasioni il “libretto” era stato presentato discusso anche in Parlamento.
Nel 2020 il Governo, su proposta del Parlamentare Magi, si era impegnato a farlo esistere, sebbene poi la promessa non ha potuto essere rispettata.
Anche nello stato USA dell’Oregon, il lavoro di redazione dell’ “Opuscolo” viene fatto da un gruppo di cittadini estratti a sorte.
Se i parlamentari non riusciranno a fare esistere lo strumento di informazione,
invitiamo gli attivisti della democrazia che leggono a cooperare con noi per redigere il “Libretto”.ALLEGATI ED ESEMPI:
Il testo del 2020 è ancora disponibile e può servire come guida per la redazione dei prossimi “libretti”.
( Qui in calce trovate il link per scaricare il testo del 2020)
Nelle importanti occasioni come sono le votazioni popolari, occorre infatti che l’informazione dei cittadini sia all’altezza delle loro responsabilità e sia in grado di mettere ciascuno nelle condizioni migliori in modo che possa fare la scelta più
intelligente per la collettività intera. L’informazione, quindi, deve essere al tempo stesso sintetica ma completa, pluralista, accessibile a tutti. Non può essere “di parte”, tanto meno può essere affidata ad entità a carattere commerciale (come lo sono i media privati). Nei paesi dove gli strumenti di democrazia diretta, affiancati da quelli di democrazia rappresentativa, sono presenti da più tempo esiste l’ “Opuscolo informativo” e viene gratuitamente diffuso da enti pubblici agli elettori.Per il bene del popolo italiano e della sua democrazia, i cittadini democratici esortano i legislatori a fare in modo che un testo con queste caratteristiche venga redatto e reso pubblico nella prossima ed in ogni futura occasione.
Qui di seguito trovate la prima bozza del “Libretto delle votazioni” per il referendum dell’8 e 9 Giugno 2025 sui 5 temi: “Cittadinanza – Lavoro”.
Grazie di aggiungere qui nel forum i vostri commenti che cercheremo di integrare nel testo fino ad un mese prima della data del referendum. Poi vi inviteremo a sostenere la diffusione del documento finale.
= = =
Qui al link trovate una presentazione di come redigere i “Libretti delle votazioni”:
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Leonello Zaquini.
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Leonello Zaquini.
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1. CITTADINANZA
PRESENTAZIONE DELL’ARGOMENTO E CONTESTO GENERALE, IN BREVEIL CONTESTO
Attualmente la legge in vigore sul tema della eventuale domanda per ottenere la cittadinanza da parte di stranieri ( la legge 5 febbraio 1992, n. 91) prevede un tempo di residenza di almeno 10 anni per poter presentare la domanda.
Il referendum propone di abrogare l’art. “9, comma 1, lettera b” dove si precisa che per presentare la domanda lo straniero deve “risiedere legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”.
I promotori del referendum che intende abrogare questa disposizione propongono che il tempo di residenza venga diminuito a 5 anni.
COSA E COME SI VOTA:Se il referendum viene approvato, queste forme di acquisizione della cittadinanza verrebbero eliminate. In caso contrario, la normativa attuale rimarrebbe in vigore.
Il referendum sul tema è di tipo abrogativo, occorre quindi che la partecipazione superi il quorum previsto ( 50% degli aventi diritto al voto) affinché il voto favorevole all’abrogazione abbia effetto.
Contesto generale ed
EFFETTI
In generale, la questione della cittadinanza è legata a come uno Stato regola l’ingresso, il soggiorno e l’integrazione dei cittadini stranieri. La cittadinanza conferisce diritti fondamentali, come il diritto di voto, la protezione legale e l’accesso ai servizi pubblici, ma comporta anche responsabilità. La durata del soggiorno necessaria per richiedere la cittadinanza è spesso vista come un modo per garantire che i richiedenti abbiano avuto il tempo sufficiente per integrarsi nella società del Paese. Le leggi che regolano la cittadinanza possono variare notevolmente da un Paese all’altro, e la durata del periodo di residenza è uno degli aspetti chiave di questa regolamentazione. La riduzione dei tempi di residenza è una proposta che cerca di bilanciare la necessità di integrazione con i diritti individuali degli immigrati e con le esigenze di stabilità e coesione sociale. Votando SI all’abrogazione della legge, si permette
la riduzione del tempo di attesa necessario per poter presentare la domanda.
Votando NO, si mantiene l’attuale legge e la durata di 10 anni di residenza prima di poter presentare la domanda.ESEMPI: in altri paesi e contesti
In generale, la discussione sul ridurre i tempi di residenza per la cittadinanza si inserisce in un dibattito globale sulle politiche di immigrazione, che cerca di bilanciare il bisogno di apertura verso i migranti con la necessità di garantire che questi si integrino e contribuiscano attivamente alla società. L’Italia, se dovesse adottare questa proposta, si allineerebbe con Paesi come la Francia e il Regno Unito, ma potrebbe essere percepita come una mossa più progressista rispetto ad altri Paesi europei con tempi più lunghi di attesa, come la Germania e la Spagna. Alcuni Paesi hanno politiche più flessibili, mentre altri sono più restrittivi riguardo alla concessione della cittadinanza.
Ecco alcuni esempi:In Germania, la cittadinanza può essere richiesta dopo 8 anni di residenza legale continuativa. Tuttavia, questo periodo può essere ridotto a 7 anni se l’immigrato ha completato un programma di integrazione o a 6 anni per chi ha dimostrato particolari meriti (ad esempio, una buona conoscenza della lingua e un lavoro stabile).
– In Francia, la cittadinanza può essere richiesta dopo 5 anni di residenza legale, ma questo periodo può essere ridotto a 2 anni se il richiedente ha completato un ciclo di studi universitari in Francia.
– Nel Regno Unito, il periodo di residenza necessario per richiedere la cittadinanza è generalmente 5 anni, ma può aumentare a 6 anni se il richiedente ha una residenza legale condizionata (ad esempio, status di rifugiato o permesso temporaneo). Per la cittadinanza, il sistema britannico richiede anche che i richiedenti superino un test di lingua e di cultura britannica.
– In Spagna, il periodo di residenza richiesto per la cittadinanza è di 10 anni per la maggior parte dei richiedenti. Tuttavia, ci sono eccezioni: per i cittadini di alcuni Paesi latinoamericani, Portogallo, Andorra, Equatorial Guinea e le Filippine, il periodo di residenza è ridotto a 2 anni. La Spagna offre anche la possibilità di mantenere la cittadinanza originaria, senza richiedere la rinuncia alla cittadinanza precedente.
– Anche in Svizzera la cittadinanza la si puo’ richiedere dopo un periodo di residenza in genere di 10 anni. Esistono delle semplificazioni per i molto giovani e per chi e’ sposato con un coniuge svizzero.– Negli Stati Uniti, i cittadini stranieri possono chiedere la cittadinanza attraverso il processo di naturalizzazione dopo 5 anni di residenza legale continua, che diventano 3 anni per i coniugi di cittadini statunitensi. Tuttavia, i richiedenti devono dimostrare buona condotta, conoscenza della lingua inglese e passare un test di cittadinanza.
– In Australia, la cittadinanza può essere richiesta dopo 4 anni di residenza legale continua.
Molti Paesi, anche se prevedono periodi di residenza variabili, richiedono comunque che il richiedente abbia un buon livello di integrazione, che include la conoscenza della lingua locale, la partecipazione alla vita economica e sociale e la dimostrazione di un impegno civile (ad esempio, il test di cittadinanza). Queste misure cercano di garantire che chi diventa cittadino sia effettivamente parte integrante della società.
1. CITTADINANZA
ARGOMENTI PER IL SI
Argomenti
Riduciamo da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter fare domanda di cittadinanza italiana, che una volta ottenuta sarebbe trasmessa ai figli e alle figlie minorenni. Questa modifica costituisce una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano, studiano e lavorano. Allineiamo l’Italia ai maggiori Paesi Europei, che hanno già compreso come promuovere diritti, tutele e opportunità garantisca ricchezza e crescita per l’intero Paese. - Integrazione più rapida: Ridurre i tempi favorirebbe un’integrazione più veloce e profonda, consentendo agli stranieri che vivono e lavorano in Italia da anni di diventare cittadini più rapidamente, con un maggiore coinvolgimento nelle istituzioni e nella vita civile.
- Riconoscimento dei diritti: Gli immigrati che risiedono da lungo tempo in Italia potrebbero avere il diritto di partecipare pienamente alla vita politica, economica e sociale del Paese, rafforzando il principio di uguaglianza davanti alla legge.
- Contributo economico e sociale: Molti immigrati sono già un pilastro dell’economia italiana (in settori come l’agricoltura, l’edilizia, la sanità, ecc.). La cittadinanza darebbe loro una maggiore stabilità e la possibilità di contribuire ulteriormente al benessere del Paese.
- Migliore accesso a servizi e diritti: La cittadinanza garantirebbe una protezione maggiore (ad esempio, in caso di licenziamento o difficoltà economiche) e faciliterebbe l’accesso a diritti fondamentali, come l’assistenza sanitaria e i benefici sociali.
Flessibilità e modernizzazione: La modifica dei tempi di residenza potrebbe essere vista come una misura che porta il sistema italiano al passo con la realtà contemporanea, dove le migrazioni sono sempre più fluide e veloci, e dove il tempo di residenza non è più un indicatore adeguato dell’integrazione di un individuo.
I CAMBIAMENTI DERIVANTI dal SI
Che cosa succede se voto SI? Consento la modifica della legge e la riduzione del tempo di attesa per presentare la domanda per ottenere la cittadinanza italiana agli stranieri residenti.
1. CITTADINANZA
ARGOMENTI PER IL NO
Argomenti
Le opinioni favorevoli alla legge esistente e quindi al voto No del referendum sono soprattutto le seguenti:
- Rischio di “cittadinanza facile”: Alcuni ritengono che ridurre i tempi possa portare a una “cittadinanza facile”, conferita a chi magari non ha ancora avuto il tempo di assimilarsi culturalmente o linguisticamente. Potrebbe esserci il rischio che alcuni immigrati non si integrino a sufficienza nel tessuto sociale italiano.
- Sicurezza e controllo: La cittadinanza conferita troppo velocemente potrebbe sollevare preoccupazioni sulla sicurezza nazionale, con critiche che sottolineano la difficoltà di monitorare adeguatamente i nuovi cittadini e di garantire che siano completamente integrati nel sistema giuridico e sociale italiano.
- Pressioni sul sistema sociale: Ci sono timori che un numero maggiore di cittadini, anche se integrati, possa generare una pressione aggiuntiva sul sistema sociale e sulle risorse pubbliche, come l’assistenza sanitaria, la scuola e i benefici sociali.
- Unione con la famiglia: Alcuni temono che una cittadinanza concessa troppo rapidamente possa favorire l’immigrazione di “falsi” richiedenti, motivati principalmente dalla possibilità di unire familiari residenti all’estero, senza un legame effettivo con l’Italia.
- Preoccupazioni politiche: In alcuni ambienti politici, c’è il timore che la concessione della cittadinanza a più persone possa cambiare l’equilibrio politico del Paese, con un numero maggiore di elettori di origine straniera che potrebbero orientarsi verso determinate forze politiche.
6. Incertezza sulla qualità della eventuale nuova legge. L’abrogazione di una legge non assicura che la nuova legge sia redatta come i favorevoli all’abrogazione vorrebbero. Potrebbe essere anche peggiore da diversi punti di vista.
I CAMBIAMENTI DERIVANTI dal NO
Che cosa succede se voto NO?
La legge che prescrive un tempo di attesa di 10 anni di residenza in Italia prima di poter presentare domanda per ottenere la cittadinanza resta immutata.
1. CITTADINANZA
IL QUESITO SOTTOPOSTO AL VOTO
Volete voi abrogare l’art. 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?
VOTO IN PARLAMENTO
Il referendum è di tipo abrogativo non è quindi stato preceduto da un voto in parlamento se non al momento della approvazione della legge. -
2. LAVORO – TUTELE CRESCENTI
PRESENTAZIONE DELL’ARGOMENTO E CONTESTO GENERALE, IN BREVEIL CONTESTO:
Il referendum propone l’abrogazione totale del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Approvato nell’ambito del Jobs Act, il decreto ha modificato le regole sui licenziamenti e sulle tutele dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, sostituendo il regime dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori con un sistema basato su indennizzi economici crescenti in base all’anzianità di servizio.
Il Decreto Legislativo 23/2015 introduce il contratto a tutele crescenti, che prevede:
• Per i nuovi assunti, il reintegro in caso di licenziamento illegittimo è limitato a casi specifici (discriminazione o nullità del licenziamento).
• Per i licenziamenti ingiustificati, il lavoratore ha diritto solo a un’indennità economica (da 3 a 6 mesi di stipendio per le piccole imprese, da 6 a 36 mesi per le grandi imprese).
• L’anzianità di servizio aumenta l’indennizzo, ma non garantisce il reintegro automatico.
• Si elimina il riferimento all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per i nuovi assunti.
Il tema del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti si inserisce nel più ampio dibattito sulla flessibilità del mercato del lavoro e sulla tutela dei lavoratori nei casi di licenziamento. Questo argomento è centrale in molte economie avanzate, dove si cerca un equilibrio tra la protezione dell’occupazione e la necessità di rendere il mercato del lavoro più dinamico per favorire la crescita economica.
Contesto generale
Le politiche del lavoro si sviluppano lungo un asse che va dalla flessibilità (agevolare assunzioni e licenziamenti per favorire la competitività delle imprese) alla sicurezza (garantire tutele adeguate ai lavoratori in caso di perdita del posto di lavoro). Il contratto a tutele crescenti introdotto in Italia con il Jobs Act si colloca nel tentativo di mediare tra queste due esigenze, riducendo le rigidità del mercato del lavoro e allineandosi a modelli adottati in altri paesi europei.
La regolazione del mercato del lavoro è sempre un compromesso tra la necessità di dare stabilità ai lavoratori e quella di permettere alle aziende di adattarsi alle condizioni economiche. L’efficacia di una riforma come quella del Jobs Act dipende quindi non solo dalle norme sui contratti, ma anche dalla presenza di un sistema efficiente di politiche attive per l’occupazione.
COSA E COME SI VOTA:
“si” o “no”
Con il voto SI,
Si abroga la legge che dovrà essere rifatta.Con il voto NO,
Si conserva la legge esistente. Il referendum sul tema è di tipo abrogativo, occorre quindi che la partecipazione superi il quorum previsto ( 50% degli aventi diritto al voto) affinché il voto favorevole all’abrogazione abbia effetto.ESEMPI: in altri paesi e contesti
Modelli di regolamentazione in altri paesi
Di seguito, un confronto con alcuni paesi chiave che hanno affrontato il tema della regolazione del mercato del lavoro in modo diverso:
1. Germania – Modello della “flexicurity mitigata”
- La Germania ha introdotto riforme significative negli anni 2000 con l’Agenda 2010 del cancelliere Schröder, riducendo le rigidità nel mercato del lavoro.
- Il licenziamento individuale è regolato da un sistema che prevede preavviso e indennità, ma per le imprese sopra i 10 dipendenti esistono tutele più rigide (il licenziamento deve avere una motivazione economica, disciplinare o personale valida).
- Forte sistema di sostegno ai disoccupati e politiche attive del lavoro per la ricollocazione (es. corsi di formazione obbligatori).
2. Francia – Maggiore rigidità ma con riforme recenti
- Tradizionalmente il mercato del lavoro francese è stato più rigido, con tutele forti per i lavoratori a tempo indeterminato e maggiore difficoltà nel licenziare.
- Tuttavia, riforme recenti (come la Loi Travail del 2016 e la riforma Macron del 2017) hanno introdotto indennità predefinite in caso di licenziamento illegittimo, riducendo l’incertezza per le imprese e avvicinandosi al modello italiano delle tutele crescenti.
3. Spagna – Riforme per ridurre la segmentazione
- Rispetto all’Italia, il sistema spagnolo resta più sbilanciato verso la precarietà, ma con una recente riforma nel 2021 il governo ha cercato di limitare l’uso dei contratti a termine.
4. Paesi Scandinavi – Il modello della “Flexicurity”
- Paesi come Danimarca e Svezia hanno un mercato del lavoro molto flessibile, dove le imprese possono licenziare con facilità, ma il sistema di welfare offre forti ammortizzatori sociali.
5. Stati Uniti – Massima flessibilità
- Il mercato del lavoro statunitense è molto flessibile, con poche restrizioni ai licenziamenti.
2. LAVORO – TUTELE CRESCENTI
ARGOMENTI PER IL SI al referendum
Argomenti per il SI
- Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Sono oltre 3 milioni e 500mila ad oggi e aumenteranno nei prossimi anni le lavoratrici e i lavoratori penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui la/il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. Abroghiamo questa norma, diamo uno stop ai licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo. 1. La legge esistente produce minori tutele per i lavoratori: Le critiche principali al contratto a tutele crescenti riguardano la riduzione delle garanzie per i lavoratori in caso di licenziamento. In particolare, l’indennità di licenziamento è più bassa rispetto al passato e cresce solo con il tempo di servizio, ma senza una tutela paragonabile a quella che c’era prima per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato.
- Instabilità lavorativa: Alcuni sostengono che, purtroppo, la flessibilità concessa alle imprese può tradursi in maggiore instabilità per i lavoratori, che potrebbero essere licenziati più facilmente rispetto al passato. La gradualità delle tutele non risponderebbe sufficientemente alla necessità di maggiore sicurezza per i lavoratori.
- Disparità tra nuovi e vecchi lavoratori: Un’altra critica riguarda la disparità di trattamento tra i lavoratori assunti prima della riforma e quelli assunti dopo. Chi è stato assunto dopo l’introduzione del contratto a tutele crescenti potrebbe trovarsi in una posizione svantaggiata in caso di licenziamento rispetto ai colleghi più anziani.
- Impatto sulla disoccupazione: Alcuni ritengono che la riforma non abbia avuto l’effetto positivo sperato sul fronte dell’occupazione, in quanto le assunzioni stabili non sono aumentate come previsto, mentre alcuni lavoratori precari potrebbero essere stati spinti a contratti a termine piuttosto che a tempo indeterminato.
- Risultati meno soddisfacenti del previsto: Alcuni esperti sostengono che la riforma non abbia portato ai risultati attesi in termini di crescita dell’occupazione stabile e che, anzi, possa aver aumentato la precarizzazione del lavoro.
2. LAVORO – TUTELE CRESCENTI
ARGOMENTI PER IL NO al referendum
Argomenti per il NO
Le opinioni favorevoli alla legge esistente e quindi al voto No del referendum sono soprattutto le seguenti:
- Maggiore flessibilità per le imprese: Il contratto a tutele crescenti ha semplificato le procedure di assunzione e licenziamento, rendendo più facile per le aziende gestire i propri costi del personale. Questo è stato visto come uno stimolo per l’occupazione, soprattutto per le piccole e medie imprese.
- Incentivazione all’assunzione a tempo indeterminato: L’idea dietro il contratto a tutele crescenti era di incoraggiare l’assunzione stabile, con il vantaggio che l’azienda sarebbe stata meno esposta al rischio di costi troppo elevati in caso di licenziamento, visto che l’indennità di licenziamento aumenta gradualmente con l’anzianità del lavoratore.
- Riforma della normativa sul lavoro: La legge ha cercato di modernizzare e semplificare il mercato del lavoro, riducendo la burocrazia e uniformando le regole per tutte le tipologie di contratto a tempo indeterminato.
Sostegno alla crescita economica: A livello macroeconomico, si è sostenuto che una maggiore flessibilità nelle assunzioni avrebbe potuto portare a una maggiore crescita e competitività del sistema economico italiano.
Incertezza sulla qualità della eventuale nuova legge. L’abrogazione di una legge non assicura che la nuova legge sia redatta come i favorevoli all’abrogazione vorrebbero. Potrebbe essere anche peggiore da diversi punti di vista.
2. LAVORO – TUTELE CRESCENTI
IL QUESITO SOTTOPOSTO AL VOTO
Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?
VOTO IN PARLAMENTO,
Il referendum è di tipo abrogativo non è quindi stato preceduto da un voto in parlamento se non al momento della approvazione. -
- LAVORO – PICCOLE IMPRESE
PRESENTAZIONE DELL’ARGOMENTO E CONTESTO GENERALE, IN BREVE
IL CONTESTO: Il quesito del referendum riguarda l’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che riguarda i licenziamenti individuali e l’indennità di licenziamento, una normativa che si applica in generale, non solo alle piccole imprese. Tuttavia, l’attinenza con le piccole imprese deriva dal fatto che la legge in questione prevede delle specifiche regole per i licenziamenti nelle imprese che occupano un numero ridotto di dipendenti. In sostanza, l’articolo 8 stabilisce che le piccole imprese (quindi quelle con meno di 15 dipendenti) non sono obbligate a rispettare alcune delle formalità previste per i licenziamenti nelle imprese più grandi. Inoltre, l’articolo in questione consente alle piccole imprese di licenziare più facilmente, senza l’obbligo di seguire le procedure più complesse e costose che riguardano le aziende con più dipendenti. Questo ha creato un certo dibattito sulla protezione dei lavoratori nelle piccole imprese e sul fatto che, abrogando l’articolo, si potrebbero migliorare le condizioni di licenziamento, tutelando maggiormente i diritti dei dipendenti anche nelle realtà più piccole.
La proposta di abrogazione parziale riguarda proprio questo: l’idea di eliminare o modificare l’articolo 8 per rendere più uguali le norme tra grandi e piccole imprese in materia di licenziamenti e indennità, forse aumentando le tutele per i lavoratori nelle piccole realtà aziendali.
L’abrogazione riguarda specifiche parti dell’articolo che definiscono gli importi dell’indennità spettante ai lavoratori in caso di licenziamento illegittimo.
Se il referendum avrà esito positivo, verranno eliminate le disposizioni che fissano l’importo minimo e massimo dell’indennità.
La conseguenza principale sarà che il giudice avrà maggiore discrezionalità nel determinare l’importo dell’indennità per il lavoratore licenziato ingiustificatamente.
In Italia, la disciplina dei licenziamenti è stata oggetto di numerose riforme. Il Decreto Legislativo n. 23/2015, noto come “Jobs Act”, ha introdotto il contratto a tutele crescenti, prevedendo un’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo, calcolata in base all’anzianità di servizio del lavoratore. Successivamente, il “Decreto Dignità” (D.L. n. 87/2018) ha aumentato l’indennità minima da 4 a 6 mensilità e quella massima da 24 a 36 mensilità. Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenze n. 194/2018 e n. 150/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni relative al calcolo rigido dell’indennità basato esclusivamente sull’anzianità, ritenendo necessario considerare anche altri fattori.
COSA E COME SI VOTA: Votando SI,
La legge viene modificataVotando NO,
La legge resta immutataIl referendum sul tema è di tipo abrogativo, occorre quindi che la partecipazione superi il quorum previsto ( 50% degli aventi diritto al voto) affinché il voto favorevole all’abrogazione abbia effetto.
ESEMPI: in altri paesi e contesti esistono diversi paesi in cui le norme sui licenziamenti differiscono a seconda della dimensione dell’impresa. In generale, molti ordinamenti prevedono regole più flessibili per le piccole imprese, per evitare di imporre loro oneri amministrativi eccessivi. Ecco alcuni esempi significativi: Francia
- Le imprese con meno di 11 dipendenti hanno procedure semplificate per i licenziamenti, mentre quelle più grandi devono rispettare regole più rigide, inclusi obblighi di riqualificazione e consultazioni con rappresentanze sindacali.
- Per le aziende con almeno 50 dipendenti, i licenziamenti collettivi devono essere negoziati con i sindacati e approvati dall’ispettorato del lavoro.
Germania
- La legge sulla protezione dal licenziamento (Kündigungsschutzgesetz) si applica solo alle imprese con più di 10 dipendenti.
- Nelle piccole imprese (≤ 10 dipendenti), i datori di lavoro possono licenziare con maggiore libertà, purché rispettino i termini di preavviso e non discriminino illegalmente il lavoratore.
- Anche in caso di licenziamento ingiustificato, nelle piccole imprese non si applica automaticamente il diritto al reintegro, a differenza delle aziende più grandi.
Spagna
- Le aziende con meno di 50 dipendenti hanno procedure meno rigide per i licenziamenti collettivi.
- Tuttavia, la legge spagnola impone un’indennità di licenziamento (generalmente 33 giorni di stipendio per anno lavorato), indipendentemente dalla dimensione dell’azienda.
Regno Unito
- Non esistono differenze rigide in base alla dimensione dell’impresa, ma le piccole aziende hanno più margine di manovra nelle controversie sui licenziamenti, e i lavoratori devono aver maturato almeno due anni di anzianità per contestare un licenziamento ingiusto.
- Le aziende più grandi hanno obblighi più severi nei licenziamenti collettivi (consultazioni obbligatorie con i rappresentanti dei lavoratori).
Stati Uniti
- Il diritto del lavoro è molto più flessibile: nella maggior parte degli stati vige la regola “at-will employment”, che permette ai datori di lavoro di licenziare senza necessità di giustificazione, salvo eccezioni per discriminazione o violazioni contrattuali.
- Tuttavia, le aziende con più di 100 dipendenti devono fornire un preavviso di 60 giorni per i licenziamenti collettivi (legge WARN – Worker Adjustment and Retraining Notification Act).
Molti paesi prevedono tutele più deboli per i lavoratori delle piccole imprese rispetto a quelle nelle aziende più grandi, ma con differenze nelle modalità:
- In alcuni casi (Germania, Francia), le imprese sotto una certa soglia non devono rispettare alcune garanzie sui licenziamenti.
- In altri (Spagna, Regno Unito), pur esistendo regole specifiche, l’indennità di licenziamento rimane garantita.
- Negli Stati Uniti, invece, il licenziamento è molto più libero a prescindere dalla dimensione dell’impresa.
L’Italia, con la possibile abrogazione dell’articolo 8 della legge 604/1966, potrebbe quindi avvicinarsi a modelli in cui la distinzione tra piccole e grandi imprese viene ridotta, aumentando le tutele per i lavoratori delle realtà più piccole.
- LAVORO – PICCOLE IMPRESE
ARGOMENTI PER IL SI AL REFERENDUM
Argomenti per il SI - Nelle imprese con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora una/un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. Questa è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700mila) in uno stato di forte soggezione rispetto alla/al titolare. Abroghiamo questo limite, aumentiamo l’indennizzo sulla base della capacità economica dell’azienda, dei carichi familiari e dell’età della lavoratrice e del lavoratore.
Gli argomenti per il SI, piu’ in dettaglio, sono i seguenti:Ripristino delle tutele storiche per i lavoratori
:- L’abrogazione del decreto potrebbe portare a ripristinare le tutele maggiori per i lavoratori in caso di licenziamento. Il sistema a tutele crescenti ha infatti ridotto la protezione iniziale per i lavoratori, penalizzando chi viene licenziato nei primi anni di lavoro.
- La rimozione di questo sistema garantirebbe di nuovo indennità di licenziamento più alte e più immediate, come quelle previste prima della riforma, dove i lavoratori avevano maggiori certezze in caso di perdita del lavoro.
- Minor precarietà per i lavoratori:
- Alcuni ritengono che la riforma abbia aumentato la precarietà, poiché ha incentivato l’adozione di contratti flessibili. Senza il sistema a tutele crescenti, le aziende sarebbero più inclini a garantire un contratto a tempo indeterminato con maggiori tutele, riducendo il ricorso ai contratti a termine.
- Eccessivo potere alle imprese:
- Il contratto a tutele crescenti ha ridotto il costo per le aziende in caso di licenziamento. Questo ha alimentato la percezione che le imprese possano approfittare della legge, licenziando con maggiore facilità e senza un reale giustificato motivo, rischiando di sfruttare i lavoratori in modo eccessivo.
- Miglioramento della stabilità del lavoro:
- Senza il sistema a tutele crescenti, si ritiene che ci sarebbe un maggiore equilibrio tra la flessibilità per le imprese e la stabilità lavorativa per i dipendenti. La legge avrebbe, in alcuni casi, favorito il licenziamento, creando una divisione tra lavoratori con contratto a tempo indeterminato e quelli più precari, senza una protezione adeguata.
- LAVORO – PICCOLE IMPRESE
ARGOMENTI PER IL NO AL REFERENDUM
Argomenti per il no I contrari al referendum temono che l’abrogazione possa danneggiare l’economia, ridurre le assunzioni stabili, aumentare i costi per le imprese e complicare la gestione del lavoro, specialmente per i più giovani. Gli argomenti per il NO sono i seguenti. - Maggiore flessibilità per le imprese e incentivi all’assunzione: Il sistema a tutele crescenti ha reso meno rischioso per le imprese assumere nuovi dipendenti a tempo indeterminato, poiché riduce i costi iniziali del licenziamento. Senza questa normativa, si teme che le aziende possano essere meno propense ad assumere, preferendo ricorrere a contratti a termine o altre forme di lavoro più precario.
– La flessibilità è vista come un motore di crescita economica, poiché facilita l’adattamento delle imprese alle mutevoli condizioni di mercato. - Semplificazione della gestione del lavoro: La legge ha semplificato il contratto a tempo indeterminato, introducendo una struttura chiara e uniforme con il sistema a tutele crescenti, che ha reso più facile per le imprese gestire la forza lavoro. L’abrogazione di questa legge potrebbe restituire un sistema più complesso e frammentato, con norme più difficili da applicare per le aziende.
- Maggiori possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro: I sostenitori del sistema a tutele crescenti ritengono che la flessibilità nel licenziamento non porti necessariamente a maggiore precarietà, ma permetta alle imprese di ridurre i costi in caso di necessità di riorganizzazione. Questo potrebbe tradursi in maggiore disponibilità a riassumere i lavoratori licenziati in futuro, nonostante le difficoltà iniziali.
- Riforma positiva per i giovani: Il contratto a tutele crescenti è stato visto come uno strumento per incentivare le assunzioni di giovani nel mercato del lavoro, dando loro maggiore possibilità di stabilizzarsi nel tempo. L’abrogazione della legge potrebbe ridurre le opportunità per i più giovani, aumentando la difficoltà di trovare un’occupazione stabile.
- Effetti positivi sull’occupazione: Alcuni studi e analisi hanno suggerito che la riforma ha portato a una crescita delle assunzioni stabili (anche se non per tutti i settori). Abrogare la legge potrebbe ridurre questi risultati positivi, limitando le possibilità di un aumento delle assunzioni permanenti.
6. Incertezza sulla qualità della eventuale nuova legge. L’abrogazione di una legge non assicura che la nuova legge sia redatta come i favorevoli all’abrogazione vorrebbero. Potrebbe essere anche peggiore da diversi punti di vista.
- LAVORO – PICCOLE IMPRESE
IL QUESITO SOTTOPOSTO AL VOTO
Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?
VOTO IN PARLAMENTO
Il referendum è di tipo abrogativo non è quindi stato preceduto da un voto in parlamento se non al momento della approvazione. - LAVORO – PICCOLE IMPRESE
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- LAVORO STABILE
PRESENTAZIONE DELL’ARGOMENTO E CONTESTO GENERALE, IN BREVE
IL CONTESTO: Il referendum propone l’abrogazione parziale dell’articolo 19 del d.lgs. 81/2015, che disciplina il contratto di lavoro a tempo determinato. L’abrogazione riguarda specifiche parti del decreto che stabiliscono limiti e condizioni per i contratti a termine superiori a 12 mesi, eliminando alcune restrizioni e vincoli normativi.
Se il referendum avrà esito positivo, verranno eliminati i vincoli che impongono:
• Il limite massimo di 12 mesi senza condizioni.
• L’obbligo di indicare una causale per i contratti oltre i 12 mesi.
• I vincoli per il rinnovo e la proroga dei contratti a termine.
In Italia, la normativa prevede che un contratto a tempo determinato possa avere una durata massima di 12 mesi. È possibile estendere la durata fino a 24 mesi, ma solo in presenza di specifiche condizioni, come esigenze temporanee e oggettive, sostituzione di altri lavoratori o incrementi temporanei dell’attività. Senza una causale, il contratto non può superare i 12 mesi. Inoltre, sono consentite fino a quattro proroghe nell’arco di 24 mesi; superato questo limite, il contratto si trasforma automaticamente in un rapporto a tempo indeterminato. Queste disposizioni sono state introdotte per prevenire l’abuso dei contratti a termine e garantire maggiore stabilità lavorativa.
COSA E COME SI VOTA: “si” o “no” alla Equa valutazione dei magistrati
Votando SI, si abroga la legge attuale.
Votando NO la si conservaIl referendum sul tema è di tipo abrogativo, occorre quindi che la partecipazione superi il quorum previsto ( 50% degli aventi diritto al voto) affinché il voto favorevole all’abrogazione abbia effetto.
ESEMPI: in altri paesi e contesti Le normative riguardanti i contratti di lavoro a tempo determinato variano significativamente tra i diversi Paesi europei, in particolare per quanto riguarda la durata massima, le condizioni per il rinnovo e l’obbligo di indicare una causale per l’assunzione a termine. Ecco una panoramica della situazione in alcuni Paesi: Francia:
In Francia, i contratti a tempo determinato (Contrat à Durée Déterminée – CDD) sono consentiti solo in specifiche circostanze, come la sostituzione di un dipendente assente o un aumento temporaneo dell’attività. La durata massima di un CDD è generalmente di 18 mesi, inclusi rinnovi, anche se esistono eccezioni che permettono estensioni fino a 24 mesi. È obbligatorio specificare la causale nel contratto, giustificando il ricorso al CDD.
Germania:
In Germania, i contratti a tempo determinato senza una giustificazione oggettiva possono avere una durata massima di 2 anni, durante i quali sono consentiti fino a tre rinnovi. Se esiste una ragione specifica, come un progetto temporaneo, il contratto può essere esteso oltre i 2 anni. Per le nuove aziende, nei primi 4 anni, è possibile stipulare contratti a termine senza causale fino a una durata di 4 anni.
Spagna:
La Spagna ha introdotto riforme per limitare l’uso dei contratti a tempo determinato, promuovendo l’impiego stabile. I contratti a termine sono permessi solo per motivi specifici, come esigenze produttive temporanee o la sostituzione di lavoratori. La durata massima varia in base al tipo di contratto, ma generalmente non supera i 12 mesi in un periodo di 18 mesi. È obbligatorio indicare chiaramente la causale nel contratto.
Regno Unito:
Nel Regno Unito, non esiste una durata massima legale per i contratti a tempo determinato. Tuttavia, se un lavoratore accumula 4 anni consecutivi con contratti a termine presso lo stesso datore di lavoro, acquisisce automaticamente lo status di lavoratore a tempo indeterminato, a meno che il datore di lavoro possa giustificare un motivo oggettivo per mantenere il contratto a termine. Non è sempre obbligatorio specificare una causale per l’assunzione a termine, ma la trasparenza è consigliata per evitare potenziali dispute.
È importante notare che, nonostante le differenze, molti Paesi europei hanno adottato misure per prevenire l’abuso dei contratti a tempo determinato, imponendo limiti sulla durata, sul numero di rinnovi e richiedendo giustificazioni specifiche per il loro utilizzo. Queste normative mirano a garantire un equilibrio tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza occupazionale per i lavoratori.
- LAVORO STABILE
ARGOMENTI PER IL SI
Argomenti In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Rendiamo il lavoro più stabile. Ripristiniamo l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato. Con l’abrogazione, sarà possibile:
✅ Stipulare contratti a termine di durata superiore a 12 mesi senza causali.
✅ Rinnovare o prorogare senza particolari vincoli.
✅ Evitare le restrizioni attualmente imposte dopo il superamento dei 12 mesi.
✅ Maggiore flessibilità per imprese e lavoratori
L’eliminazione dei vincoli permette alle aziende di gestire meglio il personale, evitando limiti rigidi nella durata dei contratti.
✅ Riduzione della burocrazia
Attualmente, le imprese devono motivare l’estensione dei contratti oltre i 12 mesi, aumentando la complessità burocratica. L’abrogazione semplificherebbe il sistema.
✅ Possibilità di stabilità per i lavoratori
Senza il limite dei 12 mesi, un lavoratore potrebbe mantenere il proprio posto senza la necessità di interruzioni o rinnovi formali.
- LAVORO STABILE
ARGOMENTI PER IL NO
Argomenti Gli argomenti per il no sono indicati essere i seguenti: ❌ Rischio di precarizzazione
L’eliminazione dei vincoli potrebbe incentivare l’uso indiscriminato dei contratti a termine, limitando le assunzioni a tempo indeterminato.
❌ Diminuzione delle tutele per i lavoratori
Attualmente, il limite dei 12 mesi serve a favorire la stabilizzazione. Se rimosso, molte aziende potrebbero evitare assunzioni stabili.
❌ Mancanza di garanzie contrattuali
L’eliminazione delle causali per il rinnovo potrebbe creare un sistema poco trasparente, in cui i lavoratori non hanno certezza sulla propria posizione.
Incertezza sulla qualità della eventuale nuova legge. L’abrogazione di una legge non assicura che la nuova legge sia redatta come i favorevoli all’abrogazione vorrebbero. Potrebbe essere anche peggiore da diversi punti di vista.
- LAVORO STABILE
IL QUESITO SOTTOPOSTO AL VOTO
Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?
VOTO IN PARLAMENTO
Il referendum è di tipo abrogativo non è quindi stato preceduto da un voto in parlamento se non al momento della approvazione. - LAVORO STABILE
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- 5. LAVORO SICURO
PRESENTAZIONE DELL’ARGOMENTO E CONTESTO GENERALE,
IN BREVE.
IL CONTESTOEsclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione Il referendum propone l’abrogazione parziale dell’articolo 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, che disciplina la responsabilità del committente nei contratti di appalto e subappalto in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
L’abrogazione riguarda le parole che escludono l’applicazione della responsabilità del committente per i danni derivanti da rischi specifici dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice.
L’articolo 26 del d.lgs. 81/2008 stabilisce che il committente (ovvero l’azienda o l’ente che affida un lavoro a un’impresa esterna) è responsabile della sicurezza dei lavoratori dell’appaltatore o subappaltatore, salvo che i danni derivino da rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
Attualmente, il comma 4 prevede che:
• Il committente risponde degli infortuni sul lavoro nei casi in cui non abbia adottato misure di sicurezza adeguate.
• Tuttavia, non è responsabile per i danni derivanti dai rischi specifici dell’attività svolta dall’impresa appaltatrice o subappaltatrice.
L’abrogazione delle parole indicate eliminerebbe questa esclusione di responsabilità, ampliando gli obblighi del committente.
In Italia, l’articolo 26 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, noto come Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, disciplina le responsabilità del committente e dell’appaltatore. Attualmente, il committente è responsabile in solido con l’appaltatore per i danni non indennizzati dall’INAIL o dall’IPSEMA, esclusi quelli derivanti da rischi specifici propri dell’attività dell’appaltatore o subappaltatore. La proposta referendaria in questione mira ad abrogare questa esclusione, rendendo il committente responsabile anche per i danni derivanti dai rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Questa modifica aumenterebbe la responsabilità del committente, allineando la normativa italiana a una maggiore tutela dei lavoratori coinvolti in appalti e subappalti.
In generale, mentre l’appaltatore è direttamente responsabile per i rischi specifici della propria attività, in molti Paesi europei il committente ha un dovere di vigilanza e coordinamento per garantire la sicurezza complessiva sul luogo di lavoro. Le normative tendono a promuovere una responsabilità condivisa, in cui il committente non può completamente delegare la gestione dei rischi all’appaltatore, ma deve assicurarsi che vengano adottate misure preventive adeguate per proteggere tutti i lavoratori presenti.
COSA E COME SI VOTA: Votando SI, si abroga la legge attuale.
Votando NO la si conservaIl referendum sul tema è di tipo abrogativo, occorre quindi che la partecipazione superi il quorum previsto ( 50% degli aventi diritto al voto) affinché il voto favorevole all’abrogazione abbia effetto.
ESEMPI: in altri paesi e contestiLe normative sulla responsabilità del committente in relazione ai rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici variano tra i diversi Paesi europei. Ecco una panoramica della situazione in alcune nazioni: Francia:
In Francia, il committente ha l’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, anche quando affida lavori a imprese esterne. La legislazione francese prevede una responsabilità condivisa tra il committente e l’appaltatore per la prevenzione dei rischi professionali. Il committente deve assicurarsi che l’appaltatore rispetti le norme di sicurezza e può essere ritenuto responsabile in caso di incidenti derivanti da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore, soprattutto se questi rischi possono avere un impatto sull’ambiente di lavoro generale o su altri lavoratori presenti sul sito.
Germania:
In Germania, la legge sulla sicurezza sul lavoro (Arbeitsschutzgesetz) impone al committente di valutare e coordinare le misure di sicurezza quando più aziende operano nello stesso luogo. Sebbene l’appaltatore sia principalmente responsabile per i rischi specifici della propria attività, il committente ha un dovere di vigilanza e può essere ritenuto corresponsabile se non adotta misure adeguate per garantire la sicurezza complessiva sul sito. La giurisprudenza tedesca tende a valutare caso per caso il grado di
responsabilità condivisa, considerando fattori come il controllo esercitato dal committente e la natura dei rischi coinvolti.
Spagna:
In Spagna, la Ley de Prevención de Riesgos Laborales stabilisce che il committente ha l’obbligo di garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro, anche quando sono presenti lavoratori di imprese appaltatrici o subappaltatrici. Il committente deve coordinare le attività preventive e può essere ritenuto responsabile per incidenti derivanti da rischi specifici dell’appaltatore se non ha adottato misure di coordinamento adeguate. La legge prevede inoltre che il committente verifichi l’idoneità tecnica e le capacità preventive dell’appaltatore prima dell’inizio dei lavori.
Regno Unito:
Nel Regno Unito, il Health and Safety at Work etc. Act 1974 impone al committente (definito come “client”) l’obbligo di garantire, per quanto ragionevolmente praticabile, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro. Quando un committente ingaggia un appaltatore, ha la responsabilità di assicurarsi che quest’ultimo sia competente e che i rischi specifici associati al lavoro siano adeguatamente gestiti. Sebbene l’appaltatore sia direttamente responsabile per la gestione dei propri rischi specifici, il committente deve mantenere un ruolo di supervisione e coordinamento per garantire la sicurezza complessiva del sito. In caso di incidenti, le autorità possono esaminare sia le azioni del committente che quelle dell’appaltatore per determinare le responsabilità.
- 5. LAVORO SICURO
ARGOMENTI PER IL SI
Argomenti Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1000 i morti. Modifichiamo le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro. Se il referendum avrà esito positivo, il committente sarà responsabile anche per i danni causati da rischi specifici dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice.
In altre parole:
✅ Il committente sarà sempre responsabile della sicurezza dei lavoratori delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, anche per i rischi specifici delle loro attività.
✅ Le imprese appaltanti dovranno rafforzare le misure di sicurezza per evitare qualsiasi tipo di infortunio nei cantieri o nei luoghi di lavoro.
✅ Si potrebbero ridurre le controversie sulla divisione delle responsabilità in caso di incidenti sul lavoro.
✅ Maggiore tutela per i lavoratori
L’eliminazione dell’esclusione di responsabilità garantisce che il committente si occupi della sicurezza anche in relazione ai rischi specifici dell’appaltatore.
✅ Maggiori controlli sulla sicurezza nei cantieri e negli appalti
Le aziende committenti avranno più incentivi a vigilare sulla sicurezza delle imprese a cui affidano lavori.
✅ Responsabilità chiara e univoca
Attualmente, nei casi di infortunio legati ai rischi specifici dell’appaltatore, il committente non è responsabile. Con l’abrogazione, non ci sarebbero più zone d’ombra nella normativa.
- 5. LAVORO SICURO
ARGOMENTI PER IL NO
Argomenti Le opinioni favorevoli alla legge esistente e quindi al voto No del referendum sono soprattutto le seguenti: ❌ Maggiore onere per i committenti
L’estensione della responsabilità potrebbe comportare un aumento dei costi e degli obblighi burocratici per le imprese che affidano lavori a terzi.
❌ Meno competitività per le imprese
L’introduzione di responsabilità più ampie potrebbe scoraggiare le aziende dal ricorrere agli appalti, penalizzando il settore.
❌ Rischio di incertezza giuridica
Attualmente, la distinzione tra responsabilità del committente e dell’appaltatore è chiara. Con l’abrogazione, potrebbe esserci un aumento delle cause legali e dell’incertezza interpretativa.
Incertezza sulla qualità della eventuale nuova legge. L’abrogazione di una legge non assicura che la nuova legge sia redatta come i favorevoli all’abrogazione vorrebbero. Potrebbe essere anche peggiore da diversi punti di vista.
- 5. LAVORO SICURO
IL QUESITO SOTTOPOSTO AL VOTO
Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?
VOTO IN PARLAMENTO
Il referendum è di tipo abrogativo non è quindi stato preceduto da un voto in parlamento se non al momento della approvazione. - 5. LAVORO SICURO
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PER CHI VOLESSE APPROFONDIRE:
link da cui sono presi i testi e per approfondire con diverse prospettive. Il libretto non è esaustivo di tematiche giuridiche complesse per cui per chi volesse, questi link aiutano nell’approfondimento giuridico sulle tematiche toccate dai quesiti referendari.
https://www.cgil.it/referendum/informazioni-cgil-referendum-2025-h4zhyjmihttps://formiche.net/2016/12/effetti-negativi-referendum-cgil-jobs-act/#content
= = =NOTA sulla redazione dell’opuscolo.
I testi qui sopra riportati sono stati redatti da semplici cittadini, attivisti di comitati a favore del SI e del NO, in cooperazione tra di loro ( in modo simile a quanto avviene nello stato USA dell’Oregon, dove i redattori vengono estratti a sorte tra i cittadini).
Infatti, nelle importanti occasioni come sono le votazioni popolari, occorre che l’informazione dei cittadini sia all’altezza delle loro responsabilità e sia in grado di mettere ciascuno nelle condizioni migliori in modo che possa fare la scelta più intelligente per la collettività intera. L’informazione, quindi, deve essere al tempo stesso sintetica ma completa, pluralista, accessibile a tutti. Non può essere “di parte”, tanto meno può essere affidata ad entità a carattere commerciale (come lo sono i media privati). Nei paesi dove gli strumenti di democrazia diretta, affiancati da quelli di democrazia rappresentativa, sono presenti da più tempo e sono di uso più frequente ( Svizzera … , California … ecc ecc), un documento come il presente esiste e viene gratuitamente diffuso da enti pubblici agli elettori.
Per il bene del popolo italiano e della sua democrazia, i cittadini democratici e gli enti che sostengono la diffusione di questo strumento di informazione esortano i legislatori a fare in modo che un testo con queste caratteristiche venga redatto e reso pubblico in ogni futura occasione.
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Il testo della bozza del “Libretto per le votazioni” dell’8 e 9 giugno 2025 e’ qui sopra, a partire dal secondo messaggio qui questo forum ( il primo messaggio e’ una introduzione al tema: “Libretto delle votazioni” o “Opuscolo informativo per le votazioni popolari”).
Vi invitiamo a leggere la bozza sui 5 temi riferendari e di mettere qui di seguito i vostri eventuali commenti e/o suggerimenti.
Vi preghiamo di aggiungerli qui di seguito, indicando la pagina ed il tema al quale vi riferite e adatteremo il testo secondo i suggerimenti delle persone favorevoli al SI o al NO sui diversi temi.
Per farlo dovete registravi nel forum (la registrazione è gratuita).
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